Elezioni, la strategia prima di tutto. Come costruirne una vincente

Le elezioni di marzo dello scorso anno, hanno imposto, sulla scena politica, non poche novità strategiche: è cambiata la legge elettorale, ma è cambiato non poco soprattutto il rapporto della politica (e dei partiti in particolare) con i cittadini.
La comunicazione politica ne ha risentito fortemente, e le elezioni ne hanno risentito sensibilmente.
Ai nastri di partenza si è presentata, con l’esito noto a tutti, una forza politica fortemente orientata ad una comunicazione accentrata e “online”; dietro di lei, una miriade di partiti abituati a comunicare con linguaggi e strumenti vetusti, superati e sempre meno credibili.
Ora si profilano le elezioni europee (che saranno anche elezioni amministrative in 4.000 comuni e regionali in 6 regioni).
Come prepararsi a questa tornata elettorale? Come conquistarsi qualche possibilità di vittoria?
Il contesto strategico è indubbiamente mutato: certo in un contesto europeo (e con una ben differente) legge elettorale, alcuni fattori avranno un’incidenza molto più marginale.
Ma vi saranno elementi – come l’astensionismo e la disaffezione (soprattutto dei giovani) – che continueranno ad avere una rilevanza determinante sull’esito finale del voto.
La politica è sempre meno credibile, gli effetti della crisi ancora mordono (checché ne dica chi intravede luci in fondo ad un tunnel di cui la stragrande maggioranza degli italiani ancora stenta ad intravederne la fine), la concorrenza è numerosissima ed agguerritissima; i media si sono moltiplicati all’inverosimile. E l’online ha un ruolo sempre più rilevante e determinante (di pari passo con giornali e tv che invece influenzano sempre meno).
Pensare di affrontare questa nuova sfida elettorale con regole e mezzi vetusti, equivale a presentarsi con un calesse al gran premio di formula 1.
Se il contesto è mutato, devono inevitabilmente mutare anche le strategie elettorali (e quindi mezzi, linguaggi, target, ma di questo parleremo in altre occasioni). È bene quindi, prima di mettersi all’opera per la propria campagna elettorale, definire una strategia con cura e meticolosità, magari avvalendosi di professionisti “veri”.
In Italia ci si quasi sempre presentati a queste sfide con molta approssimazione. Non è un caso, del resto, che ogni qual volta sulla scena politica si è presentato qualcuno più avvezzo al sistema della comunicazione politica moderna – Berlusconi prima, il tandem Casaleggio-Grillo poi – i partiti “tradizionali”, poco avvezzi a comunicare, ne sono usciti con le ossa rotte. Rottissime.
In qualche caso addirittura qualche Solone della politica ha pensato di ingaggiare spin doctor d’oltreoceano, dimostrando in tal modo, limiti ancora più gravi e seri: la strategia nasce dal contesto. Chi non è avvezzo e non conosce il contesto – perché ne è socialmente, culturalmente e ideologicamente lontano – è ben difficile che riesca ad individuare la migliore strategia.
Come chiedere al miglior penalista italiano di difendere un assassino statunitense. Nella comunicazione – checché ne dicano improvvisatori, soloni e tuttologi – funziona allo stesso modo.
In Italia – tocca dire anche questo – le strategie politiche troppo spesso non guardano affatto alla “comunicazione” (ed i partiti “tradizionali” oggi pagano e scontano anche questo errore endemico, internamente ed esternamente).
Ma torniamo ai consigli ed alle indicazioni per la prossima tornata elettorale: una qualunque strategia “sensata”, presuppone innanzitutto una seria e rigorosa analisi del contesto, dei mezzi, del target di riferimento, prima di entrare nel vivo della campagna elettorale. Sistematicamente avviene l’inverso: basta guardarsi intorno. Siamo sommersi di messaggi, programmi e promesse (spesso convogliati su mezzi assolutamente inidonei), senza che si riesca a cogliere una – sia pur latente – strategia.
Una sorta di gara, insomma, a chi grida più forte, a chi alza di più la voce. Passi se poi (e ironia a parte, accade molto più spesso di quel che si creda) si è in una stanza di non udenti.
Il primo consiglio parrebbe banale, quasi ovvio: affidarsi a professionisti per la definizione congiunta della strategia. L’analisi del contesto è fondamentale perché tutto quello che si andrà a realizzare sortisca i suoi effetti. Nella comunicazione politica, come in qualsiasi altra strategia di comunicazione, sparare nel mucchio non è mai una buona cosa.
È la “strategia” che deve aiutare ad individuare uomini, linguaggi e mezzi più idonei.
Immagina che ti venga chiesto di colpire Massimo mentre è allo stadio e che, per realizzare questo obiettivo, ti venga consentito di accedere al campo di gioco e di schierarti proprio al centro del centrocampo. Lo stadio è strapieno e, con te, ci sono tantissime altre persone che hanno il tuo medesimo obiettivo. Massimo puoi sicuramente colpirlo: ma può colpirlo anche uno qualunque dei tuoi avversari lasciandoti a bocca asciutta. Definire una buona strategia vale a “scremare” il contesto. Come se, nello stadio, ti venisse detto che Massimo indossa un maglione blu ed un jeans, è pelato, ha gli occhi azzurri, è nel settore distinti e non è seduto sulle gradinate, ma in piedi, accanto ad una bellissima bionda.
Individuata la strategia tocca quindi organizzare la “squadra”: fondamentale perché in campo si dia davvero il massimo (anche in chiave di ottimizzazione delle risorse). Come in qualsiasi partita, si può ovviamente vincere o perdere: ma se non si schierano i professionisti giusti nei posti giusti, la sconfitta sarà estremamente più probabile.
Rattoppare, rabberciare, arrangiarsi, in questo campo purtroppo non è mai buona cosa. Soprattutto nei “ruoli” nevralgici e strategici.
Ed è bene anche evitare commistioni, accavallamenti dei ruoli, e invasioni di campo: un centravanti è bene che faccia il centravanti. Se gli si chiede di stare anche in porta, è estremamente probabile che non solo non metta a segno goal, ma addirittura ne faccia subire.
Ed allora, le persone giuste al posto giusto. A te tocca organizzare e coordinare il team: ognuno dovrà fare la sua parte nel rispettivo ruolo (il che tra l’altro ti aiuterà anche ad individuare punti di forza e di debolezza ed eventualmente intervenire per tempo per rafforzare i settori “deboli”).
Il Italia uno dei ruoli più “sopravvalutati” è quello dell’addetto stampa che, per definizione, dovrebbe curare i rapporti con i media. Nella realtà invece fa di tutto: dalla pianificazione della strategia di comunicazione alla sua gestione, passando per la cura e l’aggiornamento di siti web e canali social. Un attaccante, insomma, che sta anche in porta, marca a uomo la punta avversaria e di tanto in tanto fa anche l’allenatore.
Eppure, già di per sé, il ruolo impone non poca fatica: oggi un addetto stampa deve sgobbare non poco per ottenere visibilità su media peraltro agonizzanti e sempre più spesso fuori target. Basti pensare ai quotidiani che – tutte le più recenti elezioni lo hanno dimostrato in maniera eclatante – ormai non orientano consensi, non condizionano l’opinione pubblica e nelle opinioni prevalenti, oltre ad essere ritenuti mezzi “vecchi” per il loro contenuti, sono spesso anche politicamente orientati, poco obiettivi, inaffidabili.
Un addetto stampa ci vuole sicuramente: ma è bene che faccia questo e questo soltanto.
Il resto del team verrà quasi naturalmente fuori dalla strategia (se è ben strutturata): una volta capito, insomma, a chi ci si rivolge ed in che modo, sarà agevole individuare uomini e mezzi su cui puntare. Altrimenti si rischia di ritrovarsi con una squadra di “fuori ruolo”, non in grado di gestire la strategia.
Non è una sciocchezza di poco conto: come candidarsi nel Partito dei Pensionati, e ritrovarsi a fare campagna elettorale in un asilo nido (una buona strategia di comunicazione aiuterebbe però anche in questo frangente…).
Per definire la strategia, quindi, è buona norma partire dall’analisi del contesto (e quindi del territorio) e delle pregresse abitudini di voto. Ottima regola strategica è anche segmentare il target, individuando, tra i vari segmenti, quelli strategici, analizzando le abitudini, i linguaggi, i contesti di socializzazione, gli strumenti di comunicazione ed informazione che utilizzano, le problematiche più diffuse ed avvertite. Solo dopo si può efficacemente entrare nel “vivo” della campagna elettorale, evitando di “sparare nel mucchio”.
Solo così si può allestire una squadra che schieri i migliori professionisti: altrimenti si rischia di puntare su un ottimo social media manager o sul miglior youtuber in circolazione, salvo poi scoprire che il proprio target usa altri mezzi e altri linguaggi.
Ultima nota sulle risorse economiche. Una campagna eletto

rale costa indubbiamente tanto. Economizzare è possibile, ma la prima regola deve essere quella di evitare dispersioni e sprechi.
Fissa un busget, quindi, ed apposta le risorse in funzione della strategia per ottimizzarle al massimo. Meglio poche cose fatte bene, che tantissime fatte male. Se a monte c’è una buona strategia che ha individuato e segmentato il target, l’azione sarà più semplice e meno onerosa. E soprattutto più efficace.
Quanto ai risparmi, se sei un politico di lungo corso, non hai che da fermarti e tirare le somme di quanto hai fatto e speso in passato (se non lo sei ti basta chiedere a quanti hanno più esperienza di te). Manifesti, “santini” e facsimile delle schede elettorali, oggi non svolgono più alcuna funzione propagandistica. I voti “orientati” da questo materiale si potrebbero contare sulle dita di una mano: svolgono invece prevalentemente una funzione di “promemoria”. Valgono quindi il grosso dell’investimento? Assolutamente no: se non hai costruito un contenuto ed un messaggio, il “promemoria” servirà solo a parenti, amici ed a quanti ti conoscono già.

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