I nostri Social video in campo sanitario e la Legge di bilancio: siamo in regola, ecco perché

Stop alla pubblicità commerciale in campo sanitario. La legge di bilancio recentemente approvata recepisce, ai commi 525 e 536 una proposta di legge che prevede il divieto assoluto di messaggi di natura promozionale o suggestionale nelle informative sanitarie. La legittimazione dell’attività disciplinare viene riconosciuta agli Ordini nei confronti sia dei direttori sanitari delle strutture che diffondono pubblicità non deontologicamente orientate. La normativa prevede inoltre una segnalazione all’AgCom (e non più all’Antitrust) per sanzioni alle società committenti I direttori sanitari, infine, dovranno essere obbligatoriamente iscritti presso l’Ordine territoriale in cui si trova la struttura da loro diretta.
E i social video che la Ipse sta proponendo (e proporrà sempre più incisivamente) a professionisti e strutture sanitarie come si inseriscono nel quadro della nuova normativa? Sono “a rischio” ed espongono a potenziali sanzioni le strutture committenti?
La risposta viene, sia pur tra le righe, dalle parole di Roberto Carlo Rossi, presidente OMCeO MI, e Andrea Senna, presidente CAO OMCeO MI in una intervista al quotidiano economico Italia Oggi. «È una legge fortemente ancorata all’articolo 32 della Costituzione – affermano – che tutela il cittadino-paziente nella sua libera e ragionata scelta su ciò che è meglio per la sua salute senza essere suggestionato da logiche commerciali. Ma che trova anche conforto nella sentenza della Corte di Giustizia Europea del 4 maggio 2017 che raccomandava gli Ordini di controllare l’informazione sanitaria a tutela della salute e della libera determinazione del paziente”.
Il segreto sta tutte in queste parole: informazione sanitaria a tutela della salute e della libera determinazione del paziente. Chi ha avuto modo di conoscere bene la nostra articolata proposta – che è di comunicazione e non di promozione – sa bene che è prettamente informativa e non punta in alcun modo ad orientare la libera determinazione del paziente come potrebbe fare uno spot pubblicitario o un filmato promozionale.
Comunicazione sociale, formativa e informativa. Non promozionale o pubblicitaria.
Ed anche in questo sta il carattere vincente della nostra proposta.
Per saperne di più, non esitate a contattarci: info@ipseonline.it; 081 19817761

Social video, sempre più rilevanti anche per Instagram

Instagram ha confermato nel 2018 il suo trend di crescita, divenendo una delle piattaforme più interessanti per il social marketing.

La modalità di interazione tipica del servizio fotografico sembra essere maggiormente in grado, rispetto ai rivali, di fidelizzare l’utenza e raggiungere target specifici, grazie anche al ricorso ad hashtag virali e all’aiuto degli influencer. A quanto pare, questo successo continuerà nel corso dell’anno appena iniziato, con trend che andranno sempre più ad affermarsi.

Quali sono le principali tendenze?

In linea generale, sembra che Instagram sia pronto a strutturarsi sempre meglio sul fronte del marketing, soprattutto sui contenuti, con l’introduzione anche di nuove funzioni che potrebbero ritornare utili all’advertising. A partire dai video, che diverranno sempre più rilevanti su Instagram, grazie anche all’introduzione di IGTV, il servizio che permette di caricare filmati anche di lunga durata, purché si disponga di un numero di follower sufficienti.

Il servizio per ora non ha ancora raggiunto i risultati di altre piattaforme di videosharing, ma le premesse sono ottime per come il servizio è strutturato e completo.

In particolare, l’analisi dei movimenti 2018 sulla piattaforma suggerisce una correlazione tra i video e gli influencer: un rapporto che si consoliderà e diventerà probabilmente indissolubile nel corso di quest’anno: la presenza di un personaggio amato dagli utenti Instagram, infatti, garantisce maggiori risultati di qualsiasi altra forma di filmato.

Poche speranze, invece, per la comunicazione pubblicitaria classica e fine a se stessa, come ad esempio l’upload di produzioni tipiche della distribuzione televisiva. Morti in TV, morti anche sul web: per sfruttare le potenzialità dei video, anche su Instagram, bisogna essere davvero innovativi.

Nel corso di quest’anno le storie potrebbero risultare sempre più focalizzate sull’advertising, anche con la possibile introduzione di strumenti finalizzati a questo scopo. Si potranno creare apposite animazioni, strumenti di navigazione interne alla storia stessa, mini portali di commercio elettronico per avviare una vendita promozionale o a tempo.

Unico fattore da tenere in considerazione – e probabilmente poco gradito ai filmmaker – è la necessità del caricamento di un video realizzato in verticale. Gli utenti, infatti, approfittano quasi esclusivamente delle storie mantenendo i loro device in modalità portrait, poiché la visione di questi contenuti è immediata e spesso in movimento, ad esempio sui mezzi pubblici o durante una pausa di lavoro.

Quando la comunicazione politica sui social media paga

Quando la Politica sui social paga (eccome!).

È probabilmente il politico italiano più “social” di sempre, che ha ben compreso – dopo il “fenomeno” di Beppe Grillo e del suo Movimento – le potenzialità del web e dei social media. Un politico talmente discusso online da dividere il popolo del web con una semplice foto di pane e Nutella.
Stiamo parlando ovviamente del ministro dell’Interno Matteo Salvini, che tra Facebook, Twitter e Instagram conta qualcosa come 5 milioni e mezzo di follower.
La strategia social del leader leghista prevede anche molti post non istituzionali, nonostante il ruolo ricoperto, ed è curata da un team di social media editor guidato da Luca Morisi.
Matteo Salvini può tranquillamente essere additato – al di là degli inevitabili mal di pancia – come una indiscussa star del web, al pari addirittura di Chiara Ferragni o di Jovanotti.
Per capire quanto guadagnerebbe Matteo Salvini se facesse l’influencer, l’Adnkronos ha intervistato Matteo Pogliani, esperto di social network e web marketing. secondo Pogliani, un post del leader leghista potrebbe costare tra «i 25 e i 50mila euro su Instagram; tra i 15 e i 25mila euro su Twitter e tra i 50 e i 70mila euro su Facebook». Come a dire: volendo sfruttare appieno le potenzialità comunicative online del leader leghista, occorrerebbero tra i 90 e i 145mila euro.
Ovviamente il numero di follower non è la sola variabile da prendere in considerazione, ma anche – e soprattutto – la capacità di mobilitare gli utenti all’azione, con reazioni e condivisioni.
I post di Salvini – nel bene e nel male – in quest’ottica hanno una potenza comunicativa con pochi eguali, almeno tra i politici.

Elezioni, la strategia prima di tutto. Come costruirne una vincente

Le elezioni di marzo dello scorso anno, hanno imposto, sulla scena politica, non poche novità strategiche: è cambiata la legge elettorale, ma è cambiato non poco soprattutto il rapporto della politica (e dei partiti in particolare) con i cittadini.
La comunicazione politica ne ha risentito fortemente, e le elezioni ne hanno risentito sensibilmente.
Ai nastri di partenza si è presentata, con l’esito noto a tutti, una forza politica fortemente orientata ad una comunicazione accentrata e “online”; dietro di lei, una miriade di partiti abituati a comunicare con linguaggi e strumenti vetusti, superati e sempre meno credibili.
Ora si profilano le elezioni europee (che saranno anche elezioni amministrative in 4.000 comuni e regionali in 6 regioni).
Come prepararsi a questa tornata elettorale? Come conquistarsi qualche possibilità di vittoria?
Il contesto strategico è indubbiamente mutato: certo in un contesto europeo (e con una ben differente) legge elettorale, alcuni fattori avranno un’incidenza molto più marginale.
Ma vi saranno elementi – come l’astensionismo e la disaffezione (soprattutto dei giovani) – che continueranno ad avere una rilevanza determinante sull’esito finale del voto.
La politica è sempre meno credibile, gli effetti della crisi ancora mordono (checché ne dica chi intravede luci in fondo ad un tunnel di cui la stragrande maggioranza degli italiani ancora stenta ad intravederne la fine), la concorrenza è numerosissima ed agguerritissima; i media si sono moltiplicati all’inverosimile. E l’online ha un ruolo sempre più rilevante e determinante (di pari passo con giornali e tv che invece influenzano sempre meno).
Pensare di affrontare questa nuova sfida elettorale con regole e mezzi vetusti, equivale a presentarsi con un calesse al gran premio di formula 1.
Se il contesto è mutato, devono inevitabilmente mutare anche le strategie elettorali (e quindi mezzi, linguaggi, target, ma di questo parleremo in altre occasioni). È bene quindi, prima di mettersi all’opera per la propria campagna elettorale, definire una strategia con cura e meticolosità, magari avvalendosi di professionisti “veri”.
In Italia ci si quasi sempre presentati a queste sfide con molta approssimazione. Non è un caso, del resto, che ogni qual volta sulla scena politica si è presentato qualcuno più avvezzo al sistema della comunicazione politica moderna – Berlusconi prima, il tandem Casaleggio-Grillo poi – i partiti “tradizionali”, poco avvezzi a comunicare, ne sono usciti con le ossa rotte. Rottissime.
In qualche caso addirittura qualche Solone della politica ha pensato di ingaggiare spin doctor d’oltreoceano, dimostrando in tal modo, limiti ancora più gravi e seri: la strategia nasce dal contesto. Chi non è avvezzo e non conosce il contesto – perché ne è socialmente, culturalmente e ideologicamente lontano – è ben difficile che riesca ad individuare la migliore strategia.
Come chiedere al miglior penalista italiano di difendere un assassino statunitense. Nella comunicazione – checché ne dicano improvvisatori, soloni e tuttologi – funziona allo stesso modo.
In Italia – tocca dire anche questo – le strategie politiche troppo spesso non guardano affatto alla “comunicazione” (ed i partiti “tradizionali” oggi pagano e scontano anche questo errore endemico, internamente ed esternamente).
Ma torniamo ai consigli ed alle indicazioni per la prossima tornata elettorale: una qualunque strategia “sensata”, presuppone innanzitutto una seria e rigorosa analisi del contesto, dei mezzi, del target di riferimento, prima di entrare nel vivo della campagna elettorale. Sistematicamente avviene l’inverso: basta guardarsi intorno. Siamo sommersi di messaggi, programmi e promesse (spesso convogliati su mezzi assolutamente inidonei), senza che si riesca a cogliere una – sia pur latente – strategia.
Una sorta di gara, insomma, a chi grida più forte, a chi alza di più la voce. Passi se poi (e ironia a parte, accade molto più spesso di quel che si creda) si è in una stanza di non udenti.
Il primo consiglio parrebbe banale, quasi ovvio: affidarsi a professionisti per la definizione congiunta della strategia. L’analisi del contesto è fondamentale perché tutto quello che si andrà a realizzare sortisca i suoi effetti. Nella comunicazione politica, come in qualsiasi altra strategia di comunicazione, sparare nel mucchio non è mai una buona cosa.
È la “strategia” che deve aiutare ad individuare uomini, linguaggi e mezzi più idonei.
Immagina che ti venga chiesto di colpire Massimo mentre è allo stadio e che, per realizzare questo obiettivo, ti venga consentito di accedere al campo di gioco e di schierarti proprio al centro del centrocampo. Lo stadio è strapieno e, con te, ci sono tantissime altre persone che hanno il tuo medesimo obiettivo. Massimo puoi sicuramente colpirlo: ma può colpirlo anche uno qualunque dei tuoi avversari lasciandoti a bocca asciutta. Definire una buona strategia vale a “scremare” il contesto. Come se, nello stadio, ti venisse detto che Massimo indossa un maglione blu ed un jeans, è pelato, ha gli occhi azzurri, è nel settore distinti e non è seduto sulle gradinate, ma in piedi, accanto ad una bellissima bionda.
Individuata la strategia tocca quindi organizzare la “squadra”: fondamentale perché in campo si dia davvero il massimo (anche in chiave di ottimizzazione delle risorse). Come in qualsiasi partita, si può ovviamente vincere o perdere: ma se non si schierano i professionisti giusti nei posti giusti, la sconfitta sarà estremamente più probabile.
Rattoppare, rabberciare, arrangiarsi, in questo campo purtroppo non è mai buona cosa. Soprattutto nei “ruoli” nevralgici e strategici.
Ed è bene anche evitare commistioni, accavallamenti dei ruoli, e invasioni di campo: un centravanti è bene che faccia il centravanti. Se gli si chiede di stare anche in porta, è estremamente probabile che non solo non metta a segno goal, ma addirittura ne faccia subire.
Ed allora, le persone giuste al posto giusto. A te tocca organizzare e coordinare il team: ognuno dovrà fare la sua parte nel rispettivo ruolo (il che tra l’altro ti aiuterà anche ad individuare punti di forza e di debolezza ed eventualmente intervenire per tempo per rafforzare i settori “deboli”).
Il Italia uno dei ruoli più “sopravvalutati” è quello dell’addetto stampa che, per definizione, dovrebbe curare i rapporti con i media. Nella realtà invece fa di tutto: dalla pianificazione della strategia di comunicazione alla sua gestione, passando per la cura e l’aggiornamento di siti web e canali social. Un attaccante, insomma, che sta anche in porta, marca a uomo la punta avversaria e di tanto in tanto fa anche l’allenatore.
Eppure, già di per sé, il ruolo impone non poca fatica: oggi un addetto stampa deve sgobbare non poco per ottenere visibilità su media peraltro agonizzanti e sempre più spesso fuori target. Basti pensare ai quotidiani che – tutte le più recenti elezioni lo hanno dimostrato in maniera eclatante – ormai non orientano consensi, non condizionano l’opinione pubblica e nelle opinioni prevalenti, oltre ad essere ritenuti mezzi “vecchi” per il loro contenuti, sono spesso anche politicamente orientati, poco obiettivi, inaffidabili.
Un addetto stampa ci vuole sicuramente: ma è bene che faccia questo e questo soltanto.
Il resto del team verrà quasi naturalmente fuori dalla strategia (se è ben strutturata): una volta capito, insomma, a chi ci si rivolge ed in che modo, sarà agevole individuare uomini e mezzi su cui puntare. Altrimenti si rischia di ritrovarsi con una squadra di “fuori ruolo”, non in grado di gestire la strategia.
Non è una sciocchezza di poco conto: come candidarsi nel Partito dei Pensionati, e ritrovarsi a fare campagna elettorale in un asilo nido (una buona strategia di comunicazione aiuterebbe però anche in questo frangente…).
Per definire la strategia, quindi, è buona norma partire dall’analisi del contesto (e quindi del territorio) e delle pregresse abitudini di voto. Ottima regola strategica è anche segmentare il target, individuando, tra i vari segmenti, quelli strategici, analizzando le abitudini, i linguaggi, i contesti di socializzazione, gli strumenti di comunicazione ed informazione che utilizzano, le problematiche più diffuse ed avvertite. Solo dopo si può efficacemente entrare nel “vivo” della campagna elettorale, evitando di “sparare nel mucchio”.
Solo così si può allestire una squadra che schieri i migliori professionisti: altrimenti si rischia di puntare su un ottimo social media manager o sul miglior youtuber in circolazione, salvo poi scoprire che il proprio target usa altri mezzi e altri linguaggi.
Ultima nota sulle risorse economiche. Una campagna eletto

rale costa indubbiamente tanto. Economizzare è possibile, ma la prima regola deve essere quella di evitare dispersioni e sprechi.
Fissa un busget, quindi, ed apposta le risorse in funzione della strategia per ottimizzarle al massimo. Meglio poche cose fatte bene, che tantissime fatte male. Se a monte c’è una buona strategia che ha individuato e segmentato il target, l’azione sarà più semplice e meno onerosa. E soprattutto più efficace.
Quanto ai risparmi, se sei un politico di lungo corso, non hai che da fermarti e tirare le somme di quanto hai fatto e speso in passato (se non lo sei ti basta chiedere a quanti hanno più esperienza di te). Manifesti, “santini” e facsimile delle schede elettorali, oggi non svolgono più alcuna funzione propagandistica. I voti “orientati” da questo materiale si potrebbero contare sulle dita di una mano: svolgono invece prevalentemente una funzione di “promemoria”. Valgono quindi il grosso dell’investimento? Assolutamente no: se non hai costruito un contenuto ed un messaggio, il “promemoria” servirà solo a parenti, amici ed a quanti ti conoscono già.

Il modo corretto (ed economico) di comunicare

Bisognerebbe stamparlo su fogli (almeno a A3) da incorniciare ed appendere sul capo di manager e dirigenti di piccole e grandi aziende: c’è sempre qualcuno che, più e meglio di te, può vincere la guerra dei prezzi.
E c’è sempre qualcuno, si potrebbe aggiungere, che può comprare più pubblicità di te.
Ma partiamo dalla prima regola, il prezzo. La corsa al ribasso non paga. Mai. Ci sarà sempre un’azienda che è nelle condizioni di proporre un prezzo più basso per il medesimo prodotto/servizio. Sempre. Se si sta al gioco del prezzo e lo si abbassa fino alla soglia minima del (quasi) mancato guadagno, non si sta affatto limitando la scelta del consumatore, anzi. Lo si sta semplicemente inducendo a non compare il nostro prodotto.
Le unische scelte che quindi risulteranno “limitate” da questa decisione, sono quelle di chi pratica la corsa al ribasso. La guerra dei prezzi, infatti, mette inesorabilmente in fuorigioco chiunque, limitandone drasticamente ed inesorabilmente le scelte.
Limita le scelte legate alla qualità del prodotto (non posso puntare ad una qualità troppo elevata altrimenti non ci sto dentro con i costi), costringe a pagare in ritardo e male (o addirittura a non pagare affatto) i fornitori. Insomma, attiva un circolo vizioso che alla fine alimenta una pubblicità negativa che presto o tardi danneggerà e non poco.
La guerra dei prezzi fa toccare il fondo, inesorabilmente. Non fa essere una “prima scelta”, per nessun consumatore. Se Louis Vuitton avesse adottato una simile politica, non sarebbe certo diventato l’oggetto di culto e desiderio che è oggi. E se lo è diventato, non è certo perché costa poco.
Nessuno, del resto, desidera quello che tutti possono avere: bisognerebbe tenerlo sempre a mente. Nessuno sceglie un prodotto o un servizio, perché è quello che costa meno. Se fosse questa la bussola che orienta le scelte, basterebbe girare l’angolo per trovare un prodotto/servizio che costa.
Quello che invece orienta e condiziona le scelte è “come sei capace di far sentire il tuo consumatore” nel momento in cui usa o consuma il tuo prodotto/servizio. A prescindere dal prezzo.
Ed allora sarebbe un’ottima cosa se ci si iniziasse a chiedere “come vorrei che si sentisse il mio potenziale cliente” nel momento in cui fruisce del mio servizio o consuma il mio prodotto.
Una riflessione che dovrebbe anticipare una qualsiasi campagna pubblicitaria.
Investire in pubblicità, di questi tempi soprattutto, è come «costruirsi le ali mentre gli altri precipitano» (Steve Jobs). La pubblicità è quel “qualcosa in più” che conferisce al tuo prodotto/servizio una buona ragione per vendere di più (e magari più spesso). Anche dopo aver aumentato i prezzi.
È questo il modo corretto di comunicare. Tutto il resto è fuffa.

La sanità non sa usare social e web: lo certifica l’Università Bocconi

Il Rapporto Oasi dell’Università Bocconi in collaborazione col CEDAS certifica che Asl e ospedali non sanno comunicare sui social e perdono così una straordinaria opportunità, lasciando gli utenti in preda a news sempre più fake in materia di salute e prevenzione.
Sarà perché i dirigenti Asl (come pure quelli ospedalieri) superano spesso i 60 anni d’età o anche per i bilanci sempre più esigui che rendono economicamente improponibile destinare personale ad hoc per la gestione dei social media, fatto sta che la sanità italiana non sa comunicare attraverso i social e, di conseguenza, non ha ancora ben chiaro quali siano le potenzialità del web, rimanendo ancorata a vecchie (e sempre più infruttuose) logiche della comunicazione, superate dal mondo internettiano sempre più in grado – ben più dei media tradizionali – di raggiungere tutti i target, anziani inclusi.
Il Rapporto OASI 2018 dell’Università Bocconi, elaborato in collaborazione col CEDAS, fa emergere questa amara ed incontrovertibile realtà italiana: in un sondaggio condotto su 51 fra Aziende Sanitarie Locali (ASL), Aziende Ospedaliere (AO) e Ospedaliero Universitarie (AOU) e Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS), ben 18 non sono presenti per nulla sui social media; solo 3 sono presenti su Instagram, il social più in voga tra i più giovani.
Il Sole 24 Ore ha pubblivato i numeri di questo ennesimo fallimento online: al primo posto troviamo Facebook, scelto da 33 aziende su 51, cioè il 65% del campione, al secondo posto YouTube (adottato in 21 aziende), seguito da Twitter (15) e LinkedIn (14). Solo 4 aziende utilizzano piattaforme di blogging. Quello che non capiscono gli anziani dirigenti delle Asl è che non basta avere un account Facebook, se non si è capaci di utilizzarlo al meglio: se si inseriscono alla rinfusa varie comunicazioni di servizio senza strategie comunicative e senza capacità di interagire con la popolazione, è tutto inutile. Sono poche le aziende che attraverso i social valorizzano l’interazione e cercano di allargare i seguaci in modo intelligente.
Come viene sottolineato nello studio della Bocconi, alimentare il profilo social di un’Asl non è un lavoro per tutti: non basta essere semplici giornalisti (se non ci si è specializzati in comunicazione social) ed è un impegno che non può essere lasciato nelle mani di un dipendente che già svolge già altri compiti (cosa che avviene quasi sistematicamente negli enti pubblici!). “Non sempre esiste una strutturazione delle attività che specializzi più persone sulla gestione di questi canali e che essa sia parte delle attività di comunicazione d’azienda insieme ad altre (ad es. l’ufficio stampa)” – spiegano gli esperti. Inoltre, le Asl non verificano i loro numeri social e i loro feedback: sono ancora troppo indietro!
“Nessuna azienda fra quelle esaminate fa ricorso a sistemi di analytics e reporting strutturati che permettono di raccogliere e analizzare in modo completo e sistematico le informazioni provenienti dai social – specifica l’articolo del Sole 24 Ore – Solo il 23% delle aziende che dichiarano di effettuare analisi dei dati utilizza strumenti appositi, come ad esempio elaborazioni in Excel, o strumenti ad hoc come Google Analytics o Hootsuite, mentre il restante 77% non utilizza alcun tool dedicato”.
Eppure avvalersi delle testate web e dell’uso dei social può rendere molto più efficiente la sanità italiana: c’è ancora troppa strada da fare. C’è molta ignoranza da parte di dirigenti, che continuano a investire su televisioni locali che sono in caduta libera o giornali che vendono sempre meno copie snobbando proprio il web che fa cifre con uno o due zeri in più rispetto agli altri media.
Insomma, se l’articolo sul giornale locale più letto può fare circa 10 mila lettori, quello sulla testata web più letta, attraverso i social ne può fare oltre 100 mila: i numeri sono verificabili da chiunque.
Evidentemente non basta ancora per avviare una seria ed efficace strategia di comunicazione che guardi all’online.