È falso il messaggio sui problemi delle reti di telecomunicazioni per i video sui social

Il Ministero dello Sviluppo economico informa che è falso il messaggio attribuito a ‘fonte MiSE’, in cui viene riferito di un presunto imminente blocco delle reti di telecomunicazioni causato dal diffondersi di video sui social network.

Le reti di telecomunicazioni sono pienamente operative.

Il Ministero invita pertanto a diffidare dai messaggi non verificati diffusi via social e web e a segnalarli alla polizia postale e delle comunicazioni tramite il sito: https://www.commissariatodips.it.

Quando il social marketing supera i limiti dell’indecenza

Avete presente quei post sui social con cui un disabile invoca attenzione e “solidarietà”, con un like, un commento e una condivisione?
O anche quelle persone – di solito ragazze bellissime – affette da gravi patologie che si accingono ad affrontare un complicato intervento chirurgico e implorano la medesima attenzione per trovare conforto e coraggio in sala operatoria?
O quelle che sono ferme alla diagnosi infausta, ma che ugualmente necessitano di solidarietà social per affrontare la malattia?
O ancora le atlete menomate per gravi amputazioni che sbattono in faccia la crudeltà di chi “non ha il coraggio di condividere” solo perché in foto l’amputazione è in bella vista?
Ebbene, il più delle volte – verrebbe da dire quasi sempre – dietro questi post c’è una meschina e vergognosa strategia di marketing. Che quasi sempre non è riconducibile a professionisti del settore, ma a disonesti senza scrupoli che cercano come abbindolare i propri clienti.
La strategia è di una semplicità estrema: si crea una pagina ad hoc per questi post strappa-lacrime, strappa-like, e via dicendo, e si parte a tappeto chiedendo “Mi Piace”, “Condivisioni” e “Commenti”.
L’algoritmo di Facebook in particolare (ma per gli altri social non funziona diversamente), premia i post con elevata interazione: più polli ci cascano, più il post è visibile, più la pagina cresce.
Quando la pagina raggiunge una sua “corposità”, ecco che gli sciacalli la piazzano (spesso a sua insaputa) ad un altro “pollo”: il committente di turno. Semplicemente cambiano nome alla pagina. Ed ecco che “Disabili belli”, diventa “Pizzeria Pinco Pallino”, già con 4.000 like che il social strategist all’amatriciana è pronto a vendere a migliaia di euro, sciorinando chissà quali capacità e meriti (vatteli a conquistare 400 like in pochissimi giorni…).
Unico dettaglio: quella pagina non servirà a nulla, perché non è profilata e non è targettizzata. Il buon titolare della Pizzeria Pinco Pallino dovrà investirci migliaia e migliaia di euro affinché le sue sponsorizzazioni si rivelino efficaci e portino clienti.
E’ una regola basilare che non dovrebbe mai sfuggire a chi investe sui social: meglio dieci like profilati e targettizzati, che centomila raccolti alla rinfusa.
Se poi sono i like sono raccolti con la strategia di cui sopra, e la morale ha ancora un senso e un valore…
Mettiamo alla porta questi pseudo addetti al marketing.
Anche in malo moto, senza pietà. Perché è quello che meritano.

Pubblicità in cantiere: regole, prescrizioni, consigli

È una ulteriore opportunità di finanziamento per chi opera nel settore, davvero straordinaria per le aziende che intervengono in punti strategici, ad elevata percorrenza o visibilità, che trasformano il cantiere, in qualche modo, in una straordinaria “vetrina pubblicitaria”.

Ma quali sono le regole da rispettare? Quali le tariffe (e quindi i potenziali introiti)?

In un cantiere edile normalmente vengono esposti striscioni o cartelloni pubblicitari, che reclamizzano direttamente l’impresa costruttrice o, al più, le ditte fornitrici dei materiali e dei servizi impiegati nel sito.

Anche per queste forme di esposizione pubblicitaria, si applica l’imposta comunale sulla pubblicità (che è regolamentata dal D. Lgs. 507/93).

Ma non esistono frontiere o limiti: nulla vieta all’azienda di offrire tali spazi anche a realtà esterne e trasformare anche gli spazi che occludono alla vista dei passanti i “lavori in corso”, in uno straordinario veicolo di promozione pubblicitaria (e quindi in fatturato extra). L’imposta sulla pubblicità è dovuta, in generale, ogni qual volta vengano diffusi, nell’ambito di un’attività economica di qualunque tipologia, messaggi pubblicitari o promozionali relativi ad un soggetto economico.

Se tali messaggi vengono trasmessi tramite striscioni o cartelloni, scontano sempre l’imposta comunale sulla pubblicità, in quanto esposti in luoghi pubblici (o comunque aperti al pubblico) o comunque percepibili in qualunque modo da luoghi pubblici.

Regole particolari scattano invece per i cartelloni apposti, sempre in cantieri per lavori in corso, ma sul ciglio di una strada o dall’arteria ben visibili. In tali circostanze occorre rispettare anche le prescrizioni del Codice della strada (D. Lgs. 285/92), che art. 23 sanziona le reclame arrecanti disturbo alla circolazione.

Sono tenuti a pagare in solido l’imposta comunale sia l’impresa edile che espone il cartello o lo striscione che diffonde il messaggio pubblicitario, sia il soggetto reclamizzato. Ed entrambi possono presentare, agli uffici comunali preposti, la prescritta Dichiarazione di inizio pubblicità, con cui si indica le caratteristiche del messaggio, la durata e l’ubicazione. Occorre quindi corrispondere l’imposta richiesta da ciascun comune. Le tariffe possono variare anche sensibilmente da Comune a Comune (benché entro determinati limiti percentuali), rispetto ai criteri fissatti dalla legge nazionale.

Il D. Lgs. 507/93 suddivide i comuni italiani in cinque classi, con tariffe crescenti, secondo il numero degli abitanti; i capoluoghi di provincia partono dalla terza fascia.

I Comuni hanno la possibilità di determinare le tariffe, secondo quanto previsto dal proprio Regolamento, che oltre agli incrementi tariffari può prevedere anche esenzioni, in relazione alle superfici utilizzate o anche al periodo di esposizione (ad esempio, nelle località turistiche, con aumenti nei periodi di maggiore afflusso).

Le tariffe vengono stabilite su base annuale, e le loro eventuali variazioni devono essere approvate dal Comune, entro il 31 marzo di ogni anno ma – attenzione! – entrano in vigore retroattivamente, vale a dire dal primo gennaio del medesimo anno, per espressa disposizione della legge nazionale.

Le tariffe possono variare – come accennato – sia per la superficie del mezzo pubblicitario sia anche per la durata/periodo della promozione.

L’”autopubblicità”, vale a dire la pubblicità che le dittedi costruzione espongono di sé stesse, nei propri cantieri, sono esenti da imposta se di superficie complessiva non superiore ai cinque metri quadrati (in quanto considerate insegne indicanti la “sede di esercizio” di un’attività economica, e come tali ricadenti nell’esenzione prevista dall’art. 17, comma 1 bis, D. Lgs. 507/93).

Quanto alla durata del messaggio, occorre distinguere tra quella superiore ai tre mesi, che vale come annuale ed il cui pagamento può essere rateizzato in rate trimestrali (se superiore ad Euro 1.549,37); e quella di durata inferiore, per la quale la tariffa annuale è ridotta ad un decimo ed applicata per ogni mese o frazione di mese.

Esistono però, come spesso avviene nel campo fiscale, svariate casistiche non sempre di agevole interpretazione.

Come ad esempio nel caso del marchio di fabbrica esposto sulle gru mobili, sulle gru a torre e sui macchinari in opera presso i cantieri edili.

L’art. 5 del D. Lgs. 507/93 esenterebbe dall’imposta tali marchi ma, se di dimensioni e proporzioni eccedenti i limiti indicati dall’art. 2 del D.M. 26/07/12, al punto da non potersi più qualificare come mera indicazione del marchio del fabbricante, bensì come vera e propria pubblicità dello stesso, diventano a tutti gli effetti tassabili da parte del Comune ove è collocato il cantiere come una normale pubblicità.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 12684/2012, ha esteso questa conclusione anche ai marchi pubblicitari esposti sui silos di cantiere ed eccedenti date dimensioni.

Com’è facile intuire, la valutazione va fatta caso per caso, ma anche Comune per Comune, giacché gli esiti di tassazione relativamente alla medesima casistica, possono anche essere sensibilmente differenti.

Altro caso particolare da approfondire è la possibile imponibilità, ai fini dell’imposta sulla pubblicità, della cartellonistica di cantiere obbligatoria ai sensi dell’art. 27 comma 4 del DPR 380/2001, indicante l’impresa esecutrice dei lavori nonché le ulteriori indicazioni prescritte.

A rigore, l’esposizione di insegne o targhe che è obbligatoria per legge dovrebbe andare esente da imposizione, ai sensi dell’art. 17, comma 1, lett. i), del D. Lgs. 507/93. Tuttavia, secondo la Cassazione (sentenza n. 8130/2012), anche tale cartellonistica è qualificabile come “insegna di servizio” e come tale andrebbe esentata dall’imposta sulla pubblicità, soltanto se di dimensioni inferiori ai cinque metri quadrati (ai sensi del già citato art. 17, comma 1 bis, del D. Lgs. 507/93).

Anche in questa ipotesi, quindi, la stessa casistica potrebbe dare luogo ad interpretazioni e trattamenti d’imposta differenti tra Comuni diversi. Laddove si ricada in una ipotesi di esenzione, la Dichiarazione di inizio della pubblicità non sarà richiesta, poiché nessun tributo è dovuto (Circ. 3/2002 del Ministero dell’Economia delle Finanze).

Quanto alla riscossione del tributo, questa può essere gestita in proprio dal Comune, mediante le proprie strutture e i funzionari interni; ma può essere affidata anche agli Agenti per la riscossione, che provvederanno, in caso di mancato pagamento, alla relativa iscrizione a ruolo ed alla notifica dei provvedimenti riscossivi.

Jessica Dello Iacono

Non ogni momento è quello giusto per comunicare

Nella comunicazione la scelta del “momento” è di fondamentale importanza. Un momento non vale l’altro, checché se ne dica, e un errore temporale può incidere pesantemente sull’efficacia del messaggio.

Spesso si tralascia il “momento”, ma è una superficialità che può davvero costare cara.

Non si tratta semplicemente di “cercare” il cliente, intercettarlo e trasmettergli il messaggio giusto. Certo tutto questo è rilevante. Fondamentale per implementare l’efficacia della strategia di comunicazione. Ma è importantissimo anche farlo nel momento giusto, allorquando è forte il bisogno e maggiore quindi è non solo l’attenzione ma anche la propensione all’acquisto o alla scelta.

Quanto sarebbe efficace una straordinaria offerta di rottamazione, per un consumatore che ha appena acquistato un’auto nuova? O la promozione di un check-up sanitario gratuito, per chi gode di ottima saluta ed ha appena effettuato uno screening completo?

Il momento conta, e non poco. Spesso si opera cercando il “momento del bisogno”. Comunico la bontà del mio prodotto/servizio a chi, esattamente in questo momento, ne ha bisogno.

Tutto questo però pone anche dei problemi non secondari per chi opera nel campo della comunicazione:  intercettare il proprio target e veicolare il messaggio nel momento del bisogno, significa anche operare, dal punto di vista strategico, nel momento in cui il target di riferimento ricerca, intercetta e riceve il massimo flusso di informazioni. Caotiche, scoordinate, contraddittorie. E spesso, diciamolo onestamente, anche più efficaci e convenienti.

Se è vero che è in quel preciso momento che sta maturando il processo decisionale e anche la scelta, è altrettanto vero che nel “marasma” informativo la “scrematura” potrebbe risentire dei criteri più disparati. Finanche del caso o della stanchezza, a scapito della bontà e dell’efficacia del messaggio.
Nel marasma delle informazioni che si cercano (e si intercettano) nel momento del bisogno, è insomma molto più difficile emergere e differenziarsi.

E allora? Come muoversi? Qual è il momento giusto per “comunicare”?

Non è semplice, non tutti lo fanno e non tutti lo sanno fare: ma bisogna, in questo caso come in tantissimi altri, “differenziarsi”. Uscire dal mucchio ed imporsi con forza ed originalità prima che il cliente/consumatore abbia bisogno del prodotto/servizio: il rapporto va strutturato prima, quando il bisogno è, come si dice in gergo, latente e potenziale.

E’ quello il momento giusto per creare un rapporto di fiducia e di (reciproca) comunicazione da capitalizzare quando poi il bisogno sorgerà e diverrà effettivo.

Perché se il rapporto è stato ben costruito e strutturato in precedenza, ben difficile sarà che nel momento del bisogno, il nostro consumatore-utente si faccia ammaliare dalle sirene e ricerchi altrove quello che ha già sotto il naso, tra le mani.

È insomma, prima del bisogno, il momento giusto per conquistare il proprio target, i propri utenti e i propri consumatori.

Dopo è più difficile, più costoso e meno fruttuoso.

I nostri Social video in campo sanitario e la Legge di bilancio: siamo in regola, ecco perché

Stop alla pubblicità commerciale in campo sanitario. La legge di bilancio recentemente approvata recepisce, ai commi 525 e 536 una proposta di legge che prevede il divieto assoluto di messaggi di natura promozionale o suggestionale nelle informative sanitarie. La legittimazione dell’attività disciplinare viene riconosciuta agli Ordini nei confronti sia dei direttori sanitari delle strutture che diffondono pubblicità non deontologicamente orientate. La normativa prevede inoltre una segnalazione all’AgCom (e non più all’Antitrust) per sanzioni alle società committenti I direttori sanitari, infine, dovranno essere obbligatoriamente iscritti presso l’Ordine territoriale in cui si trova la struttura da loro diretta.
E i social video che la Ipse sta proponendo (e proporrà sempre più incisivamente) a professionisti e strutture sanitarie come si inseriscono nel quadro della nuova normativa? Sono “a rischio” ed espongono a potenziali sanzioni le strutture committenti?
La risposta viene, sia pur tra le righe, dalle parole di Roberto Carlo Rossi, presidente OMCeO MI, e Andrea Senna, presidente CAO OMCeO MI in una intervista al quotidiano economico Italia Oggi. «È una legge fortemente ancorata all’articolo 32 della Costituzione – affermano – che tutela il cittadino-paziente nella sua libera e ragionata scelta su ciò che è meglio per la sua salute senza essere suggestionato da logiche commerciali. Ma che trova anche conforto nella sentenza della Corte di Giustizia Europea del 4 maggio 2017 che raccomandava gli Ordini di controllare l’informazione sanitaria a tutela della salute e della libera determinazione del paziente”.
Il segreto sta tutte in queste parole: informazione sanitaria a tutela della salute e della libera determinazione del paziente. Chi ha avuto modo di conoscere bene la nostra articolata proposta – che è di comunicazione e non di promozione – sa bene che è prettamente informativa e non punta in alcun modo ad orientare la libera determinazione del paziente come potrebbe fare uno spot pubblicitario o un filmato promozionale.
Comunicazione sociale, formativa e informativa. Non promozionale o pubblicitaria.
Ed anche in questo sta il carattere vincente della nostra proposta.
Per saperne di più, non esitate a contattarci: info@ipseonline.it; 081 19817761

Social video, sempre più rilevanti anche per Instagram

Instagram ha confermato nel 2018 il suo trend di crescita, divenendo una delle piattaforme più interessanti per il social marketing.

La modalità di interazione tipica del servizio fotografico sembra essere maggiormente in grado, rispetto ai rivali, di fidelizzare l’utenza e raggiungere target specifici, grazie anche al ricorso ad hashtag virali e all’aiuto degli influencer. A quanto pare, questo successo continuerà nel corso dell’anno appena iniziato, con trend che andranno sempre più ad affermarsi.

Quali sono le principali tendenze?

In linea generale, sembra che Instagram sia pronto a strutturarsi sempre meglio sul fronte del marketing, soprattutto sui contenuti, con l’introduzione anche di nuove funzioni che potrebbero ritornare utili all’advertising. A partire dai video, che diverranno sempre più rilevanti su Instagram, grazie anche all’introduzione di IGTV, il servizio che permette di caricare filmati anche di lunga durata, purché si disponga di un numero di follower sufficienti.

Il servizio per ora non ha ancora raggiunto i risultati di altre piattaforme di videosharing, ma le premesse sono ottime per come il servizio è strutturato e completo.

In particolare, l’analisi dei movimenti 2018 sulla piattaforma suggerisce una correlazione tra i video e gli influencer: un rapporto che si consoliderà e diventerà probabilmente indissolubile nel corso di quest’anno: la presenza di un personaggio amato dagli utenti Instagram, infatti, garantisce maggiori risultati di qualsiasi altra forma di filmato.

Poche speranze, invece, per la comunicazione pubblicitaria classica e fine a se stessa, come ad esempio l’upload di produzioni tipiche della distribuzione televisiva. Morti in TV, morti anche sul web: per sfruttare le potenzialità dei video, anche su Instagram, bisogna essere davvero innovativi.

Nel corso di quest’anno le storie potrebbero risultare sempre più focalizzate sull’advertising, anche con la possibile introduzione di strumenti finalizzati a questo scopo. Si potranno creare apposite animazioni, strumenti di navigazione interne alla storia stessa, mini portali di commercio elettronico per avviare una vendita promozionale o a tempo.

Unico fattore da tenere in considerazione – e probabilmente poco gradito ai filmmaker – è la necessità del caricamento di un video realizzato in verticale. Gli utenti, infatti, approfittano quasi esclusivamente delle storie mantenendo i loro device in modalità portrait, poiché la visione di questi contenuti è immediata e spesso in movimento, ad esempio sui mezzi pubblici o durante una pausa di lavoro.

Quando la comunicazione politica sui social media paga

Quando la Politica sui social paga (eccome!).

È probabilmente il politico italiano più “social” di sempre, che ha ben compreso – dopo il “fenomeno” di Beppe Grillo e del suo Movimento – le potenzialità del web e dei social media. Un politico talmente discusso online da dividere il popolo del web con una semplice foto di pane e Nutella.
Stiamo parlando ovviamente del ministro dell’Interno Matteo Salvini, che tra Facebook, Twitter e Instagram conta qualcosa come 5 milioni e mezzo di follower.
La strategia social del leader leghista prevede anche molti post non istituzionali, nonostante il ruolo ricoperto, ed è curata da un team di social media editor guidato da Luca Morisi.
Matteo Salvini può tranquillamente essere additato – al di là degli inevitabili mal di pancia – come una indiscussa star del web, al pari addirittura di Chiara Ferragni o di Jovanotti.
Per capire quanto guadagnerebbe Matteo Salvini se facesse l’influencer, l’Adnkronos ha intervistato Matteo Pogliani, esperto di social network e web marketing. secondo Pogliani, un post del leader leghista potrebbe costare tra «i 25 e i 50mila euro su Instagram; tra i 15 e i 25mila euro su Twitter e tra i 50 e i 70mila euro su Facebook». Come a dire: volendo sfruttare appieno le potenzialità comunicative online del leader leghista, occorrerebbero tra i 90 e i 145mila euro.
Ovviamente il numero di follower non è la sola variabile da prendere in considerazione, ma anche – e soprattutto – la capacità di mobilitare gli utenti all’azione, con reazioni e condivisioni.
I post di Salvini – nel bene e nel male – in quest’ottica hanno una potenza comunicativa con pochi eguali, almeno tra i politici.

Elezioni, la strategia prima di tutto. Come costruirne una vincente

Le elezioni di marzo dello scorso anno, hanno imposto, sulla scena politica, non poche novità strategiche: è cambiata la legge elettorale, ma è cambiato non poco soprattutto il rapporto della politica (e dei partiti in particolare) con i cittadini.
La comunicazione politica ne ha risentito fortemente, e le elezioni ne hanno risentito sensibilmente.
Ai nastri di partenza si è presentata, con l’esito noto a tutti, una forza politica fortemente orientata ad una comunicazione accentrata e “online”; dietro di lei, una miriade di partiti abituati a comunicare con linguaggi e strumenti vetusti, superati e sempre meno credibili.
Ora si profilano le elezioni europee (che saranno anche elezioni amministrative in 4.000 comuni e regionali in 6 regioni).
Come prepararsi a questa tornata elettorale? Come conquistarsi qualche possibilità di vittoria?
Il contesto strategico è indubbiamente mutato: certo in un contesto europeo (e con una ben differente) legge elettorale, alcuni fattori avranno un’incidenza molto più marginale.
Ma vi saranno elementi – come l’astensionismo e la disaffezione (soprattutto dei giovani) – che continueranno ad avere una rilevanza determinante sull’esito finale del voto.
La politica è sempre meno credibile, gli effetti della crisi ancora mordono (checché ne dica chi intravede luci in fondo ad un tunnel di cui la stragrande maggioranza degli italiani ancora stenta ad intravederne la fine), la concorrenza è numerosissima ed agguerritissima; i media si sono moltiplicati all’inverosimile. E l’online ha un ruolo sempre più rilevante e determinante (di pari passo con giornali e tv che invece influenzano sempre meno).
Pensare di affrontare questa nuova sfida elettorale con regole e mezzi vetusti, equivale a presentarsi con un calesse al gran premio di formula 1.
Se il contesto è mutato, devono inevitabilmente mutare anche le strategie elettorali (e quindi mezzi, linguaggi, target, ma di questo parleremo in altre occasioni). È bene quindi, prima di mettersi all’opera per la propria campagna elettorale, definire una strategia con cura e meticolosità, magari avvalendosi di professionisti “veri”.
In Italia ci si quasi sempre presentati a queste sfide con molta approssimazione. Non è un caso, del resto, che ogni qual volta sulla scena politica si è presentato qualcuno più avvezzo al sistema della comunicazione politica moderna – Berlusconi prima, il tandem Casaleggio-Grillo poi – i partiti “tradizionali”, poco avvezzi a comunicare, ne sono usciti con le ossa rotte. Rottissime.
In qualche caso addirittura qualche Solone della politica ha pensato di ingaggiare spin doctor d’oltreoceano, dimostrando in tal modo, limiti ancora più gravi e seri: la strategia nasce dal contesto. Chi non è avvezzo e non conosce il contesto – perché ne è socialmente, culturalmente e ideologicamente lontano – è ben difficile che riesca ad individuare la migliore strategia.
Come chiedere al miglior penalista italiano di difendere un assassino statunitense. Nella comunicazione – checché ne dicano improvvisatori, soloni e tuttologi – funziona allo stesso modo.
In Italia – tocca dire anche questo – le strategie politiche troppo spesso non guardano affatto alla “comunicazione” (ed i partiti “tradizionali” oggi pagano e scontano anche questo errore endemico, internamente ed esternamente).
Ma torniamo ai consigli ed alle indicazioni per la prossima tornata elettorale: una qualunque strategia “sensata”, presuppone innanzitutto una seria e rigorosa analisi del contesto, dei mezzi, del target di riferimento, prima di entrare nel vivo della campagna elettorale. Sistematicamente avviene l’inverso: basta guardarsi intorno. Siamo sommersi di messaggi, programmi e promesse (spesso convogliati su mezzi assolutamente inidonei), senza che si riesca a cogliere una – sia pur latente – strategia.
Una sorta di gara, insomma, a chi grida più forte, a chi alza di più la voce. Passi se poi (e ironia a parte, accade molto più spesso di quel che si creda) si è in una stanza di non udenti.
Il primo consiglio parrebbe banale, quasi ovvio: affidarsi a professionisti per la definizione congiunta della strategia. L’analisi del contesto è fondamentale perché tutto quello che si andrà a realizzare sortisca i suoi effetti. Nella comunicazione politica, come in qualsiasi altra strategia di comunicazione, sparare nel mucchio non è mai una buona cosa.
È la “strategia” che deve aiutare ad individuare uomini, linguaggi e mezzi più idonei.
Immagina che ti venga chiesto di colpire Massimo mentre è allo stadio e che, per realizzare questo obiettivo, ti venga consentito di accedere al campo di gioco e di schierarti proprio al centro del centrocampo. Lo stadio è strapieno e, con te, ci sono tantissime altre persone che hanno il tuo medesimo obiettivo. Massimo puoi sicuramente colpirlo: ma può colpirlo anche uno qualunque dei tuoi avversari lasciandoti a bocca asciutta. Definire una buona strategia vale a “scremare” il contesto. Come se, nello stadio, ti venisse detto che Massimo indossa un maglione blu ed un jeans, è pelato, ha gli occhi azzurri, è nel settore distinti e non è seduto sulle gradinate, ma in piedi, accanto ad una bellissima bionda.
Individuata la strategia tocca quindi organizzare la “squadra”: fondamentale perché in campo si dia davvero il massimo (anche in chiave di ottimizzazione delle risorse). Come in qualsiasi partita, si può ovviamente vincere o perdere: ma se non si schierano i professionisti giusti nei posti giusti, la sconfitta sarà estremamente più probabile.
Rattoppare, rabberciare, arrangiarsi, in questo campo purtroppo non è mai buona cosa. Soprattutto nei “ruoli” nevralgici e strategici.
Ed è bene anche evitare commistioni, accavallamenti dei ruoli, e invasioni di campo: un centravanti è bene che faccia il centravanti. Se gli si chiede di stare anche in porta, è estremamente probabile che non solo non metta a segno goal, ma addirittura ne faccia subire.
Ed allora, le persone giuste al posto giusto. A te tocca organizzare e coordinare il team: ognuno dovrà fare la sua parte nel rispettivo ruolo (il che tra l’altro ti aiuterà anche ad individuare punti di forza e di debolezza ed eventualmente intervenire per tempo per rafforzare i settori “deboli”).
Il Italia uno dei ruoli più “sopravvalutati” è quello dell’addetto stampa che, per definizione, dovrebbe curare i rapporti con i media. Nella realtà invece fa di tutto: dalla pianificazione della strategia di comunicazione alla sua gestione, passando per la cura e l’aggiornamento di siti web e canali social. Un attaccante, insomma, che sta anche in porta, marca a uomo la punta avversaria e di tanto in tanto fa anche l’allenatore.
Eppure, già di per sé, il ruolo impone non poca fatica: oggi un addetto stampa deve sgobbare non poco per ottenere visibilità su media peraltro agonizzanti e sempre più spesso fuori target. Basti pensare ai quotidiani che – tutte le più recenti elezioni lo hanno dimostrato in maniera eclatante – ormai non orientano consensi, non condizionano l’opinione pubblica e nelle opinioni prevalenti, oltre ad essere ritenuti mezzi “vecchi” per il loro contenuti, sono spesso anche politicamente orientati, poco obiettivi, inaffidabili.
Un addetto stampa ci vuole sicuramente: ma è bene che faccia questo e questo soltanto.
Il resto del team verrà quasi naturalmente fuori dalla strategia (se è ben strutturata): una volta capito, insomma, a chi ci si rivolge ed in che modo, sarà agevole individuare uomini e mezzi su cui puntare. Altrimenti si rischia di ritrovarsi con una squadra di “fuori ruolo”, non in grado di gestire la strategia.
Non è una sciocchezza di poco conto: come candidarsi nel Partito dei Pensionati, e ritrovarsi a fare campagna elettorale in un asilo nido (una buona strategia di comunicazione aiuterebbe però anche in questo frangente…).
Per definire la strategia, quindi, è buona norma partire dall’analisi del contesto (e quindi del territorio) e delle pregresse abitudini di voto. Ottima regola strategica è anche segmentare il target, individuando, tra i vari segmenti, quelli strategici, analizzando le abitudini, i linguaggi, i contesti di socializzazione, gli strumenti di comunicazione ed informazione che utilizzano, le problematiche più diffuse ed avvertite. Solo dopo si può efficacemente entrare nel “vivo” della campagna elettorale, evitando di “sparare nel mucchio”.
Solo così si può allestire una squadra che schieri i migliori professionisti: altrimenti si rischia di puntare su un ottimo social media manager o sul miglior youtuber in circolazione, salvo poi scoprire che il proprio target usa altri mezzi e altri linguaggi.
Ultima nota sulle risorse economiche. Una campagna eletto

rale costa indubbiamente tanto. Economizzare è possibile, ma la prima regola deve essere quella di evitare dispersioni e sprechi.
Fissa un busget, quindi, ed apposta le risorse in funzione della strategia per ottimizzarle al massimo. Meglio poche cose fatte bene, che tantissime fatte male. Se a monte c’è una buona strategia che ha individuato e segmentato il target, l’azione sarà più semplice e meno onerosa. E soprattutto più efficace.
Quanto ai risparmi, se sei un politico di lungo corso, non hai che da fermarti e tirare le somme di quanto hai fatto e speso in passato (se non lo sei ti basta chiedere a quanti hanno più esperienza di te). Manifesti, “santini” e facsimile delle schede elettorali, oggi non svolgono più alcuna funzione propagandistica. I voti “orientati” da questo materiale si potrebbero contare sulle dita di una mano: svolgono invece prevalentemente una funzione di “promemoria”. Valgono quindi il grosso dell’investimento? Assolutamente no: se non hai costruito un contenuto ed un messaggio, il “promemoria” servirà solo a parenti, amici ed a quanti ti conoscono già.

Il modo corretto (ed economico) di comunicare

Bisognerebbe stamparlo su fogli (almeno a A3) da incorniciare ed appendere sul capo di manager e dirigenti di piccole e grandi aziende: c’è sempre qualcuno che, più e meglio di te, può vincere la guerra dei prezzi.
E c’è sempre qualcuno, si potrebbe aggiungere, che può comprare più pubblicità di te.
Ma partiamo dalla prima regola, il prezzo. La corsa al ribasso non paga. Mai. Ci sarà sempre un’azienda che è nelle condizioni di proporre un prezzo più basso per il medesimo prodotto/servizio. Sempre. Se si sta al gioco del prezzo e lo si abbassa fino alla soglia minima del (quasi) mancato guadagno, non si sta affatto limitando la scelta del consumatore, anzi. Lo si sta semplicemente inducendo a non compare il nostro prodotto.
Le unische scelte che quindi risulteranno “limitate” da questa decisione, sono quelle di chi pratica la corsa al ribasso. La guerra dei prezzi, infatti, mette inesorabilmente in fuorigioco chiunque, limitandone drasticamente ed inesorabilmente le scelte.
Limita le scelte legate alla qualità del prodotto (non posso puntare ad una qualità troppo elevata altrimenti non ci sto dentro con i costi), costringe a pagare in ritardo e male (o addirittura a non pagare affatto) i fornitori. Insomma, attiva un circolo vizioso che alla fine alimenta una pubblicità negativa che presto o tardi danneggerà e non poco.
La guerra dei prezzi fa toccare il fondo, inesorabilmente. Non fa essere una “prima scelta”, per nessun consumatore. Se Louis Vuitton avesse adottato una simile politica, non sarebbe certo diventato l’oggetto di culto e desiderio che è oggi. E se lo è diventato, non è certo perché costa poco.
Nessuno, del resto, desidera quello che tutti possono avere: bisognerebbe tenerlo sempre a mente. Nessuno sceglie un prodotto o un servizio, perché è quello che costa meno. Se fosse questa la bussola che orienta le scelte, basterebbe girare l’angolo per trovare un prodotto/servizio che costa.
Quello che invece orienta e condiziona le scelte è “come sei capace di far sentire il tuo consumatore” nel momento in cui usa o consuma il tuo prodotto/servizio. A prescindere dal prezzo.
Ed allora sarebbe un’ottima cosa se ci si iniziasse a chiedere “come vorrei che si sentisse il mio potenziale cliente” nel momento in cui fruisce del mio servizio o consuma il mio prodotto.
Una riflessione che dovrebbe anticipare una qualsiasi campagna pubblicitaria.
Investire in pubblicità, di questi tempi soprattutto, è come «costruirsi le ali mentre gli altri precipitano» (Steve Jobs). La pubblicità è quel “qualcosa in più” che conferisce al tuo prodotto/servizio una buona ragione per vendere di più (e magari più spesso). Anche dopo aver aumentato i prezzi.
È questo il modo corretto di comunicare. Tutto il resto è fuffa.

La sanità non sa usare social e web: lo certifica l’Università Bocconi

Il Rapporto Oasi dell’Università Bocconi in collaborazione col CEDAS certifica che Asl e ospedali non sanno comunicare sui social e perdono così una straordinaria opportunità, lasciando gli utenti in preda a news sempre più fake in materia di salute e prevenzione.
Sarà perché i dirigenti Asl (come pure quelli ospedalieri) superano spesso i 60 anni d’età o anche per i bilanci sempre più esigui che rendono economicamente improponibile destinare personale ad hoc per la gestione dei social media, fatto sta che la sanità italiana non sa comunicare attraverso i social e, di conseguenza, non ha ancora ben chiaro quali siano le potenzialità del web, rimanendo ancorata a vecchie (e sempre più infruttuose) logiche della comunicazione, superate dal mondo internettiano sempre più in grado – ben più dei media tradizionali – di raggiungere tutti i target, anziani inclusi.
Il Rapporto OASI 2018 dell’Università Bocconi, elaborato in collaborazione col CEDAS, fa emergere questa amara ed incontrovertibile realtà italiana: in un sondaggio condotto su 51 fra Aziende Sanitarie Locali (ASL), Aziende Ospedaliere (AO) e Ospedaliero Universitarie (AOU) e Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS), ben 18 non sono presenti per nulla sui social media; solo 3 sono presenti su Instagram, il social più in voga tra i più giovani.
Il Sole 24 Ore ha pubblivato i numeri di questo ennesimo fallimento online: al primo posto troviamo Facebook, scelto da 33 aziende su 51, cioè il 65% del campione, al secondo posto YouTube (adottato in 21 aziende), seguito da Twitter (15) e LinkedIn (14). Solo 4 aziende utilizzano piattaforme di blogging. Quello che non capiscono gli anziani dirigenti delle Asl è che non basta avere un account Facebook, se non si è capaci di utilizzarlo al meglio: se si inseriscono alla rinfusa varie comunicazioni di servizio senza strategie comunicative e senza capacità di interagire con la popolazione, è tutto inutile. Sono poche le aziende che attraverso i social valorizzano l’interazione e cercano di allargare i seguaci in modo intelligente.
Come viene sottolineato nello studio della Bocconi, alimentare il profilo social di un’Asl non è un lavoro per tutti: non basta essere semplici giornalisti (se non ci si è specializzati in comunicazione social) ed è un impegno che non può essere lasciato nelle mani di un dipendente che già svolge già altri compiti (cosa che avviene quasi sistematicamente negli enti pubblici!). “Non sempre esiste una strutturazione delle attività che specializzi più persone sulla gestione di questi canali e che essa sia parte delle attività di comunicazione d’azienda insieme ad altre (ad es. l’ufficio stampa)” – spiegano gli esperti. Inoltre, le Asl non verificano i loro numeri social e i loro feedback: sono ancora troppo indietro!
“Nessuna azienda fra quelle esaminate fa ricorso a sistemi di analytics e reporting strutturati che permettono di raccogliere e analizzare in modo completo e sistematico le informazioni provenienti dai social – specifica l’articolo del Sole 24 Ore – Solo il 23% delle aziende che dichiarano di effettuare analisi dei dati utilizza strumenti appositi, come ad esempio elaborazioni in Excel, o strumenti ad hoc come Google Analytics o Hootsuite, mentre il restante 77% non utilizza alcun tool dedicato”.
Eppure avvalersi delle testate web e dell’uso dei social può rendere molto più efficiente la sanità italiana: c’è ancora troppa strada da fare. C’è molta ignoranza da parte di dirigenti, che continuano a investire su televisioni locali che sono in caduta libera o giornali che vendono sempre meno copie snobbando proprio il web che fa cifre con uno o due zeri in più rispetto agli altri media.
Insomma, se l’articolo sul giornale locale più letto può fare circa 10 mila lettori, quello sulla testata web più letta, attraverso i social ne può fare oltre 100 mila: i numeri sono verificabili da chiunque.
Evidentemente non basta ancora per avviare una seria ed efficace strategia di comunicazione che guardi all’online.